Lo Zafferano siamo noi – Riflessioni sullo Zafferano di San Gavino Monreale

Ci sono domande che hanno tante risposte, una è questa: ma cos’è veramente lo zafferano?

Se per tutto il mondo lo zafferano è una spezia, per San Gavino Monreale lo zafferano è un sentimento. Sono tante le famiglie sangavinesi che legano la propria vita e il proprio modo d’essere al cosiddetto oro rosso. Partiamo da un presupposto oggettivo, lo zafferano prodotto a San Gavino Monreale è rinomato a livello nazionale ed europeo.

Lo zafferano è anche orgoglio. In virtù della sua produzione che rappresenta oltre il 50% di quella italiana, possiamo considerare San Gavino Monreale la capita­le nazionale dello zafferano. Possiamo, e dobbiamo.

Zafferano è quindi, anche, dovere. Abbiamo il dovere di considerarci la capitale dello zafferano, e dobbiamo farlo soprattutto noi sangavinesi, senza confondere il periodo agricolo che va da giugno a novembre col periodo in cui bisogna occuparsi di zafferano che deve andare, a mio parere, dal primo gennaio al 31 dicembre di ogni anno.

Zafferano è anche storia. Se, come si dice, senza la storia non c’è memoria, lo zafferano rappresenta tout court la storia della nostra cittadina e dei suoi abitanti, una storia lunga e tortuosa. Portato dai fenici più di mille anni fa, lo zafferano è divenuto simbolo del nostro territorio grazie ai monaci che ne facevano uso massiccio. Ma se lo zafferano è storia, come tante cose storiche, è anche opportunità. E le due cose non sono scollegate, anzi.

Parliamo di opportunità sociale ed economica. D’altra parte sono tante le realtà che, partendo da San Gavino si stanno facendo strada nel mondo dello zaf­ferano di qualità. Per fortuna, c’è da aggiungere, il ritorno alla terra non è più visto come un passo indietro ma come un processo nuovo, un’evoluzione moderna e inclusiva.

E in questo, non dobbiamo dimenticare che lo zafferano è anche fortuna. Quella che, come si dice, aiuta gli audaci. Anche se la fortuna di avere i terreni argillosi, perfetti per la coltivazione dello zafferano, non sarebbe bastata senza la tenacia, la pazienza e la fatica dei nostri avi. Ah, la fatica, lo zafferano è fatica, e neanche poca. Perché tutto ciò che è stato, non è stato semplice ieri, non è semplice oggi e non sarà semplice domani. La coltivazione richiede molto impegno e costanza, e la commercializzazione richiede competenze e abilità che non si imparano per caso e all’improvviso.

Lo zafferano è un percorso. Dev’essere vissuto come una missione, un vero e proprio lavoro, impegna­tivo ma remunerativo. Adattandosi al nuovo mercato globale e a tutta la tecnologia che abbia­mo a disposizione.

Proprio per questo lo zafferano è futuro. E non può che essere altrimenti, proprio nel periodo storico attuale si deve pensare, analizzare e progettare un paese legato allo zafferano, per migliorare il tessuto sociale e imprenditoriale della cittadina ma anche, e soprattutto, per tenere San Gavino Monreale legato a ciò che è stato. È del tutto evidente che se con un occhio si guarda al futuro, con l’altro si deve sempre guardare alla tradizione.

Lo zafferano è, ovviamente, tradizione. Un lavoro duro e faticoso, trasmesso da una generazione all’altra. All’interno della famiglia i compiti erano divisi: gli uomini erano addetti al campo mentre le donne si occupavano della mondatura. La tradizione non esclude la ricchezza.

Lo zafferano è ricchezza. Da sempre, chi produceva lo zafferano aveva importanti risorse finan­ziarie. E oggi? Non bisogna essere ricchi per produrre zafferano, ma non bisogna aver paura di pensare di diventarlo. Lo zafferano è riconoscimento. Agli inizi degli anni 2000 lo zafferano arriva al Salone del Gusto di Torino e ottiene il celebre “Presidio Slow Food”. Sì, il prezzo aumentò, ma le cose buone, valide e uniche costano. Sembra essere un ossimoro, ma proprio per questo invece c’è da pensare che lo zafferano è etico.

Dal punto di vista etico non c’è cosa migliore che immaginare che tutto riparta dalla terra. La terra è la nostra madre e noi siamo tutti suoi figli.

Lo zafferano è responsabilità. Ringraziando chi ha mantenuto, onorato e rispettato la tradizione dal passato a oggi, è evidente che bisogna anche assumersi la responsa­bilità di non ripetere gli errori del passato migliorando il prodotto e il mondo che gira intorno al meraviglioso fiore dello zafferano.

Lo zafferano è meraviglia. Tre piccoli e delicati filamenti rossi chiamati stimmi dentro i petali viola del fiore crocus sativus.

Lo zafferano è simbolo. Lo stemma del Comune di San Gavino Monreale comprende, ai lati della raffigurazione dell’emblematico castello, due fiori di zafferano.

Lo zafferano è cucina. Un aroma incredibile, unico e in grado di aromatizzare qualsiasi piatto o liquore. Ma su questo argomento crediamo, non sia giusto soffermarci troppo, qui. Assaggiatelo.

Anche perché lo zafferano è salute. Antidepressivo, antistress, antinfiammatorio, potenziatore della memoria, regolatore della digestione, acceleratore del metabolismo, apporta benefici al sistema cardiocircolatorio, alla bocca, ai capelli. E non è una pozione magica, è semplicemente il nostro oro rosso. Da secoli considerato anche un ottimo afrodisiaco ci fa dire che lo zafferano è anche amore.

Lo zafferano è arte. Nel Convento di Santa Lucia, nei secoli passati, lo zafferano si usava soprattutto per colorare tessuti e dipinti. E l’arte è ciò che oggi a San Gavino possiamo ammirare nei muri che abbelliscono le strade di San Gavino Monreale. Siamo davvero convinti che questa sia soltanto una coincidenza?

Lo zafferano è quindi sentimento, orgoglio, dovere, storia, opportunità, fortuna, fatica, percorso, futuro, tradizione, ricchezza, riconoscimento, etico, responsabilità, meraviglia, simbolo, cucina, salute, amore, arte.

Possiamo aggiungerne ancora. Lo zafferano siamo noi.

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Luca Fois

Un sogno chiamato Carnevale – Riflessioni sul Carnevale Storico Sangavinese

Agli inizi degli anni Ottanta del secolo scorso, soltanto dei visionari sognatori potevano pensare di ideare un evento che in poco tempo avrebbe occupato un posto nell’èlite del divertimento dell’intera Sardegna.

Possiamo quindi definire il Carnevale Sangavinese uno shock positivo che ha portato il paese a godere appieno del periodo, probabilmente, più florido della sua economia. Periodo che ha avuto il merito di affrancare i sangavesinesi da quella realtà che li vedeva legati perlopiù al mondo industriale. Un cambio di visione, non un semplice evento folkloristico, un nuovo modo di intendere la vita, questo è stato in estrema sintesi il Carnevale Sangavinese. Agli inizi non c’erano di certo a disposizione ingenti risorse economiche e finanziarie ma c’era tanto entusiasmo, tanta voglia, tanta passione ma soprattutto c’era un forte spirito di appartenenza alla comunità. Il Carnevale Sangavinese è un evento che durante le sue prime due decadi è cresciuto di edizione in edizione, viziando così tutti gli spettatori e tutti i soggetti interessati, quelli che oggi vengono comunemente chiamati stakeholders.

La comunità di San Gavino ha avuto il grande merito di essere riuscita a realizzare, tra le non poche difficoltà, qualcosa di molto grande, inimmaginabile agli inizi. All’epoca forse non ci si rendeva conto della propria forza quando si raggiunsero obiettivi quali quello di ospitare oltre cinquantamila persone durante le sfilate, oppure la trasmissione via satellite in televisione della diretta dell’evento, visibile in gran parte d’Europa. E i tanti emigrati sardi ancora ringraziano. Non è un caso, quindi, che il declino del Carnevale Sangavinese sia arrivato con l’avvento della crisi economica globale. Troppe colpe sono state addossate alla cittadinanza, che non ne è esente, ma non è neanche l’unica colpevole.

Il Carnevale Sangavinese è lo specchio della comunità sangavinese, nel bene e nel male. È stato il più grande colpo di teatro che i sangavinesi hanno ideato negli ultimi cinquant’anni. Ha rappresentato, rappresenta e rappresenterà ciò che siamo.

Ovviamente non se ne vuole parlare solo al passato, il futuro però dev’essere diverso. Il mondo è cambiato, il Carnevale deve cambiare. Senza sommi giudizi, partiamo dal presente. Nel 2017 la trentatreesima edizione del Carnevale Sangavinese ha sancito l’inserimento dell’evento tra i “Carnevali Storici d’Italia”, un rinomato ed esclusivo elenco istitui­to dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo. Ma è un riconoscimento che ha la sua storia che parte, come dicevamo, dagli anni Ottanta. Gli anni Ottanta, quelli del mondiale in Spagna, dell’attentato al Papa, della Caduta del Muro di Berlino e della nascita del Carnevale Sangavinese.

Sì, i sangavinesi tra i grandi eventi degli anni Ottanta inseriscono anche la nascita del tanto amato Carnevale. E come potrebbe essere altrimenti? Se dapprima era una festa libera, col solo gusto del divertimento mascherato, con gli anni la formazione di un comitato organizzatore, l’imposizione delle regole e la partecipazione di artisti prestigiosi e bravissimi hanno permesso che l’evento diventasse anche una piacevole e partecipata competizione. L’emblema del sano agonismo è rappresentato da “Su Torraponi”, un coppa che, come da nome, va rimessa in palio l’anno successivo. E che solo chi la vince per tre volte può tenersi per sempre. Così succedeva con la Coppa Rimet durante i mondiali di calcio, così succede con “Su Torraponi” nel Carnevale Sangavinese.

A proposito di paragoni. Con carri di cartapesta sempre più belli, vestiti sempre più maestosi, il Carnevale Sangavinese aveva creato un movimento sociale ed economico incredibile. Una piccola Viareggio. Una settimana di festa che dura un anno e si conclude con lo spettacolare rogo pirotecnico de “Su Baballotti”. “Su Baballotti è il simbolo di ogni edizione del nostro Carnevale, un piccolo e brutto pupazzo di cartapesta a cui tutti i sangavinesi si affezionano per una settimana. Baballotti scritto rigorosamente con due T finali in quanto l’intento degli ideatori era quello di riferirsi, per assonanza e satira politica, all’allora sindaco Bertolotti. Anche questa è storia di San Gavino Monreale.

Il Carnevale è allegria ma anche allegoria. Se il futuro è stato fin troppo bello e il presente è, come per tante cose, piuttosto incerto, il futuro dev’essere perlomeno costruttivo. Possono mancare le persone, possono mancare i soldi, ma non possono mancare le idee. Ottime quelle che si sentono da tempo. I laboratori permanenti della cartapesta sono utili per coinvolgere anche le scuole ma soprattutto per coinvolgere i più giovani e far sì che questa importante tradizione che possediamo non si perda nel tempo.

Il museo del carnevale, di grande impatto turistico, permette di non restringere il carnevale a essere una settimana di musica, canti e balli. Una commissione comunale sul Carnevale Sangavinese consente la discussione costante e duratura, insieme alla tanto vituperata politica, sul futuro e sulle problematiche di un evento tanto importante. Ma possiamo stare tranquilli, di idee ne arriveranno, soprattutto nei periodi più cupi. D’altra parte la forza di un’idea si misura nella sua capacità di rinascere. E citando Victor Hugo “nessun esercito può fermare la forza di un’idea quando arriva in tempo”.

E nessuno può fermare un sogno soprattutto se questo sogno si chiama Carnevale Sangavinese.

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Luca Fois

La memoria storica della Fonderia – Riflessioni sulla Fonderia di San Gavino Monreale

Alla Fonderia è legato l’ultimo secolo di San Gavino Monreale. Una memoria storica che proviamo a ripercorrere decennio dopo decennio partendo dalla sua costruzione fino ai giorni nostri, attraversando la realtà industriale, sociale e culturale della nostra cittadina.

Gli anni Trenta: l’inizio. La Fonderia progettata nel 1930 dall’in­gegnere Giovanni Rolandi fu inaugurata nel 1932, diventando fin da subito la più gran­de di tutta Europa. La genesi fu la dotazione della ferrovia, che San Gavino ebbe nel 1880, fu questo il motivo principale per il quale la neonata “Società Italiana del Piombo” preferì San Gavino Monreale ad altre zone più importanti come ad esempio Cagliari. Da quel momento, San Gavino che fino ad allora si era retta prevalentemente su un’economia agricola, dovette cambiare completamente visione.

Gli anni Quaranta: la guerra. Il primo stop all’attività produttiva della Fonderia fu dovuto alla Seconda Guerra Mondiale, durante la quale l’impianto sangavinese fu considerato un possibile obiettivo dei bombardamenti nemici e venne quindi chiusa a scopo precauzionale. Lo stabilimento, fortunatamente, non subì danni sensibili e riprese le attività dopo soli due anni di chiusura forzata. Poco dopo la riapertura, entrò in esercizio un impianto per la raffinazione elettrolitica dell’argento e un reparto per la produzione di pallini da caccia ottenuti con un procedimento innovativo.

Gli anni Cinquanta: la ripartenza. Congiuntamente alle miniere di Montevecchio e alle fabbriche della zona industriale di Villacidro si era creato un polo industriale di grande valore nazionale. I pallini di piombo prodotti nella Fonderia di San Gavino furono utilizzati durante le gare dei Giochi Olimpici del 1956 che si svolsero a Melbourne in Australia. Nello stesso anno, nell’estate del 1956, fu inaugurata la colonia estiva di Funtanazza, una delle colonie estive più all’avanguardia in Europa, in cui tanti sangavinesi, figli dei lavoratori della Fonderia, hanno potuto trascorrere qualche piacevole estate.

Gli anni Sessanta: il boom economico. La Fonderia arrivò a superare i cinquecento dipendenti. Per San Gavino, e non solo, fu fonte di benessere economico. Dall’inaugurazione della Fonderia, la crescita demografica di San Gavino raddoppiò, passando dai 4.100 abitanti del Censimento del 1931 agli 8.300 abitanti del 1961. Qualsiasi famiglia sangavinese era legata alla Fonderia, e questo rappresentò un cambiamento non soltanto economico ma anche, e soprattutto, sociale. L’urbanistica sangavinese era cambiata ormai per sempre: nuove strade per le automobili, nuovi palazzi per gli alloggi dei dipendenti e nuove strutture per la popolazione.

Gli anni Settanta: il declino. La proprietà della Fonderia durante quel periodo passò in mano alle partecipazioni statali. A simboleggiare la decadenza, nel 1975 sopraggiunse la caduta di una delle due ciminiere che dominavano lo sfondo sangavinese. Cadde da sola, di notte, in silenzio. Di ciminiera, quindi, ne rimase soltanto una, la più piccola delle due che, poco dopo, fu abbattuta e sostituita. I due simboli di San Gavino non c’erano più. Probabilmente era soltanto un segnale da interpretare, perché le cose non succedono mai per caso. Erano gli anni Settanta, che portarono la prima grande recessione economica del dopoguerra. E nella fattispecie, l’attività estrattiva fu colpita globalmente da una crisi mondiale che, inevitabilmente, si portò dietro anche la nostra Fonderia.

Gli anni Ottanta: il benessere. Nonostante i primi segnali di crisi, l’economia di San Gavino non dipendeva più completamente dalla Fonderia. Anzi, nonostante ciò, San Gavino continuava a essere un centro importante, prospero e benestante, con la ferrovia, la Fonderia e un ospedale. Nel 1983 chiuse la colonia di Funtanazza, la fonderia non era più il cuore pulsante del paese.

Gli anni Novanta: il crepuscolo. Alla fine dei gloriosi e ricchi anni Novanta, San Gavino aveva lentamente, e inconsciamente, perso parte del suo prestigio accumulato negli ultimi cinquant’anni e, anche a causa della perdita di importanza del­la Fonderia, ciò portò, per la prima volta dall’inaugurazione dell’impianto, a un segno negativo della curva di crescita della popolazione sangavinese. Il secolo finisce, la Fonderia compie settant’anni e arriva il nuovo millennio.

Nel 2009 a causa di alcuni problemi societari comuni al settore, la Fonderia dovette chiudere. Per San Gavino fu uno shock, un simbolo che si ferma, la paura che questo potesse comportare un effetto domino dopo anni di assoluto splendore. Riaprì quattro anni più tardi ed è tutt’oggi in funzione. Ma niente sarà più lo stesso. Questa non è la storia della Fonderia, questa è la storia di San Gavino Monreale. La storia dei nostri nonni che vanno a lavoro guardando le due ciminiere, la storia dei nostri nonni che hanno ricostruito il Paese dopo la guerra, la storia dei nostri nonni che hanno provato a lasciarci un mondo migliore.

La Fonderia è la memoria storica di San Gavino Monreale e il Museo delle Due Fonderie di San Gavino Monreale prova a documentarla attraverso te­stimonianze orali, materiali e fotografiche che descrivono il lavoro in fabbrica e la vita quotidiana dell’epoca. Il Museo delle Due Fonderie si propone di trasmettere alle nuove generazioni la ricca eredità del passato, fatta di fatica e lotta, elementi che hanno contraddistinto lo sviluppo sociale di San Gavino Monreale. Il movimento operaio sangavinese aveva il proprio cuore pulsante all’interno della Fonderia e questo ha agevolato la conquista di tanti diritti, pagati però con sangue e sudore.

Anche se troppo spesso ce ne dimentichiamo. Ah, la memoria storica.

(Riproduzione riservata)

Luca Fois